“Safe” è una serie lanciata da Netflix che vede come protagonista Michael C. Hall, noto ai più come l’inquietante e al contempo bravo ragazzo Dexter. La serie è un thriller incentrato sulla vita di una comunità, ben definita fisicamente da un grande cancello automatico che divide il dentro e il fuori, le famiglie che ne fanno parte, con la loro villetta e il loro giardino, e chi, appunto, sta oltre.
Una vita di gruppo apparentemente tranquilla e ricca di avvenimenti da condividere, con barbecue, feste e intrecci tra i vari personaggi, viene messa in discussione da un episodio che coinvolge alcuni ragazzi di nuclei familiari diversi. Da qui, in un crescendo dagli esiti in alcuni casi imprevedibili, saltano fuori, puntata dopo puntata, problemi all’interno delle singole famiglie, non visibili all’intera comunità, che danno il via a un effetto domino di rivelazioni inaspettate su un gruppo, dunque, solo all’apparenza irreprensibile.
Conosciamo davvero chi ci circonda? È la domanda che si pone lo spettatore dinanzi al finale. È anche la domanda che spesso si fanno i nostri R/S, magari dopo una feroce discussione in clan sulle opportunità di servizio, sulle attività della prossima route o sul rover che ha chiesto la partenza.
Ci sono segreti tra i nostri ragazzi e noi educatori? Talvolta sì, è inevitabile, anzi anche giustificato da una scelta nei loro confronti. Qual è il senso della comunità allora? Se torniamo alla serie Netflix, sembra essere quello di nascondere, pur di non far emergere cose (all’apparenza) più grandi e difficili da giustificare.
Eppure il senso della comunità è molto più semplice e lineare: è quello della condivisione. Parte dalla tazza con cui si fa colazione la mattina per arrivare alla condivisione di sentimenti, emozioni, impegni che diventano più forti se presi dinanzi ad altri.
La comunità di clan diventa famiglia, e del resto, fino ad alcuni anni fa il clan viveva una volta all’anno la settimana comunitaria: sette giorni in cui tutti svolgevano le proprie mansioni quotidiane (lavoro, scuola, università) per rientrare, a fine giornata, non nel proprio nucleo casalingo ma in quello R/S, quasi sempre in parrocchia, per raccontarsi la propria giornata. In che modo proviamo oggi a vivere una comunità R/S che si fa famiglia?