Comunicare
co-mu-ni-cà-re (io co-mù-ni-co)
dal latino: communicare, mettere in comune, derivato di commune, propriamente, che compie il suo dovere con gli altri, composto di cum insieme e munis ufficio, incarico, dovere, funzione.
Comunità e comunicare, due parole che hanno la stessa etimologia. Effettivamente se ci pensiamo non può esserci comunità senza comunicazione e non può esserci comunicazione se non c’è comunità.
Non per forza un gruppo omogeneo di persone con gli stessi valori e gli stessi obiettivi – quale è la comunità alla quale idealmente pensiamo – ma anche una comunità che condivide gli stessi codici necessari a decodificare ciò che viene comunicato.
Immaginate di proporre un messaggio morse a chi non l’ha mai visto e non ha l’alfabeto di riferimento per poterlo tradurre. È come cercare di parlare con gli animali – solo San Francesco ci è riuscito.
Ecco allora il compito arduo di fare comunità oggi quando siamo passati da una IPER PRESENZA a una IPER ASSENZA.
Forse prima di marzo 2020 ci vedevamo con “automatismo” pensando che la presenza sola potesse fare comunità. Siamo passati, invece, a doverci districare con una rara presenza online che oggi alterniamo ad altrettanto rari incontri dal vivo.
È evidente che non per forza per fare comunità bisogna essere presenti ma bisogna esserci. Per fare comunità oggi bisogna imparare a comunicare. Bisogna capire – anche per prevenire e per saper affrontare le storture della comunicazione digitale odierna – i codici e i luoghi di comunicazione dei giovani, i molteplici social network che loro abitano quotidianamente.
Torniamo ad usare il telefono costruito con due bicchieri di plastica e lo spago per dimostrare che per comunicare davvero c’è bisogno di impegno e di comunità, ma pretendiamo che portino dentro la nostra di comunità la loro vita “vera”, compresa quella virtuale che vissuta da soli rischia di aprire le porte anche a pericolose derive.
A Cura di Francesco Iandolo