Stavo stendendo i panni dopo il campo con le cocci e buttavo l’occhio al balcone della mia vicina: praticamente perfetto! “Deve aver fatto un corso di mollettologia” pensai. Le mollette erano disposte per materiale e colori. Per non parlare dei calzini, uno appaiato all’altro, da quelli lunghi a quelli corti, come in una scala musicale. Bellissimo.
Il mio bucato, invece, era il frutto di una guerra atomica nucleare: c’erano moltissime magliette, conquistate qui e là nel corso degli anni, alcune con l’insegna delle Piccole Orme di varie annate (e di varie taglie, visto che nel tempo mi sono arrotondato), quella della Route nazionale, quella dell’ultimo campo con il mio totem e quella …
La distesa dei miei calzettoni, poi, rivelavano il segreto matematico dei numeri primi. Non importava se erano lunghi o corti, di cotone o di lana, erano sempre in numero dispari. Quello spaiato rimaneva sempre nascosto in qualche anfratto dello zaino.
Sui fili dello stenditoio, a reggere nel vuoto le magliette, i pantaloncini e i calzini, c’erano le mollette, tutte personalizzate: c’era quella “Made in FormicaMi”, quella dello stilista “Stregone”, quella con brillantini e quelle con le pigne incollate.
Un po’ più in là c’era la mia mascherina lavabile. Messa un po’ da parte perché, benché ben lavata e sanificata, incuteva paura perché poteva essere ancora un po’ infetta.
Mi ritirai nella stanza e mi misi a guardare il bucato, un po’ nascosto dalla tenda.
Una folata di vento fece avvicinare la mascherina, trasformata in vela, agli altri compagni di stenditoio.
Il tempo di girare le spalle ed iniziai a sentire un gran parlottare: erano le Mollette che chiedevano alle Magliette “Raccontateci cosa avete visto al campo”.
Le Magliette in tutta la loro fierezza, iniziarono a parlare dei loro schizzi di pittura, di quanto gavettoni avessero ricevuto e di quanti lacrimoni avessero consolato.
Anche Mollette, come vecchi generali in pensione, raccontarono orgogliose le loro imprese, quando accolsero cuccioli e cocci, quando si trasformarono in lancia elastici e quando a fine campo esposero le foto con gli scatti più belli.
Un po’ più in là c’era Mascherina, con un elastico incollato come una ferita da guerra. Guardava e aspettava il suo turno per parlare. Ma nessuno le dava la parola, finché tra i motti e le risate qualcuno ricordò un episodio: quello quando Federico protestava perché non voleva tenere la sua mascherina. Fu quello il momento in cui Mascherina iniziò a raccontare di quando lei e tutte le sue amiche si trasformarono: chi in sorrisi, chi in labbra da Marylin Monroe e chi da barba dei pirati. Ed iniziò una grande festa.
Accostai le imposte e li lascai parlare, benedicendo Dio che anche quest’anno mi aveva reso possibile questo servizio.
Autore: Vincenzo Pinto